IL FUTURO E’ RINNOVABILE

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A quattro anni dal referendum con il quale nel 2011 gli italiani hanno confermato il loro NO al nucleare possiamo con soddisfazione confermare che quella fu la scelta giusta.  Ragionando sulla base di stime ottimistiche le prime centrali nucleari sarebbero state pronte non prima del 2025 ed oggi il fotovoltaico in Italia, con gli oltre 18000 MWp installati (il doppio rispetto a quelli del 2011), produce l’equivalente di due centrali da 1600 MW. Fra un decennio le energie rinnovabili, anche se ostacolate dalla politica, dai grandi gruppi economici, e da una tendenza tutta italica ad ostacolare aprioristicamente qualsiasi innovazione,  ci forniranno l’energia che avrebbero prodotto le 4 centrali nucleari previste dal governo Berlusconi + l’energia fossile che il ministro Passera prevede di ricavare dallo sfruttamento dei giacimenti nel sottosuolo dell’Adriatico.

Due sono le strade maestre per raggiungere l’indipendenza energetica nel rispetto dell’ambiente: risparmio energetico e sviluppo delle energie rinnovabili. In Italia l’incremento delle rinnovabili negli ultimi anni è stato secondo solo a quello della Germania ponendoci ai vertici delle nazioni leader industriali nel settore. Basterebbero i tetti di 700 mila capannoni industriali per ottenere tutta l’energia elettrica che ci serve, basterebbe solo un po’ di lungimiranza e meno ostruzionismo acritico ed assolutamente non supportato da nessuna evidenza scientifica ne economica.

Claudio Santi

Dati dal blog della Società Chimica Italiana
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ESISTE UN SOLO MODO PER EVITARE I RISCHI DELLO SMANTELLAMENTO DI ARSENALI CHIMICI: NON PRODURLI

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Si fa un gran parlare in questi giorni delle navi che dalla Siria porteranno nel porto di Gioia Tauro alcuni dei container contenenti i prodotti sequestrati dagli arsenali chimici di Assad e che verranno distrutti in acque non territoriali sotto il controllo delle Nazioni Unite e dell’OPCW. Chiaramente stiamo parlando di prodotti potenzialmente pericolosi anche se, alcuni di essi, non esseno ancora assemblati nell’ordigno finale non sono allo stato attuale niente di più che un normale pesticida. Chiaramente il trasporto avverrà con mezzi ed infrastrutture che, a norma di legge, ne debbono garantire la totale sicurezza, ed il porto di Gioia Tauro è in grado di garantire un adeguato standard di sicurezza per le navi che trasportano materiale chimico anche potenzialmente pericoloso. Un altro punto sul quale occorre fare chiarezza è che questi prodotti non verranno sversati in mare cosi come molti pensano ma verranno portati in acque non territoriali, quindi alla massima distanza da tutte le coste e li fatti reagire in opportuni reattori per trasformali in sostanze meno pericolose senza l’utilizzo di acqua di mare.  Nemmeno i prodotti finali verranno versati in mare ma, una volta riportati a terra, dovranno seguire le  procedure di smaltimento previste dalle vigenti normative ambientali. E’ chiaro che tutta l’operazione può comportare dei rischi (legati soprattutto a possibili incidenti o errori umani nelle varie fasi della lavorazione) ed il tutto comporterà anche un inevitabile impatto ambientale, poiché si dovranno smaltire tonnellate di rifiuti inutilmente prodotti. Il vero problema è che allo stato attuale non c’è alternativa se non quella che il sequestro ha cercato di evitare ovvero l’uso di questi ordigni in azioni di guerra o in rappresaglie contro la popolazione civile inerme. Come sempre vale il vecchio adagio “meglio prevenire che curare” per cui l’unica vera soluzione sarebbe stata quella di impedirne la produzione, e personalmente non posso che confermare la mia ferma posizione di rifiuto nei confronti di qualsiasi forma di violenza, in primis la guerra e di tutto ciò che ad essa è direttamente o indirettamente correlato, a partire dalla produzione e dal commercio delle armi.

Claudio Santi

 

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Made in Green China

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Siamo abituati a considerare la green economy come una prerogativa del mondo occidentale, quasi una risposta sttrategica ed obbligata al boom economico-produttivo della inquinante Cina. Meno frequentemente invece consideriamo che se da un lato è vero che Pechino rimane ancora il principale inquinatore mondiale dall’altro è anche il maggiore produttore mondiale di fotovoltaico e il leader dell’eolico. Nel 2010 gli investimenti cinesi in tecnologie pulite sono stati quattro volte superiori a quelli americani. Migliorando la sua efficienza energetica del 19 % dal 2005 ad oggi la Cina ha ridotto le emissioni di 1,5 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, con un piano di mglioramento che raggiungerà una efficienza del 40 – 45 per cento entro il 2020. Investirà 250 miliardi di euro nei prossimi 5 anni per lo sviluppo di un’economia a bassa intensità di carbonio con la produzione, entro il 2015, di unmilione di auto elettriche.
È così che a Durban la Cina, dichiarandosi disposta ad un’intesa per un taglio obbligatorio dei gas serra a partire dal 2020, si smarca dall’immobilismo e dalla deludente retromarcia dagli Stati Uniti di Obama aprendo un spazio di intesa con l’ Europa in un accordo che non è assurdo immaginare possa coinvolgere anche altri importanti paesi come Brasile, Sudafrica, Messico, Australia e Nuova Zelanda.
La Cina quindi, dopo essere stata protagonista negativo nella lotta ai cambiamenti climatici oggi, spinta anche dalla preoccupazione della desertificazione, dell’inquinamento delle falde acquifere e delle conseguenze disastrose degli sconvolgimenti climatici, ha deciso di proporsi oggi come leader mondiale nella rivoluzione verde. Il 2020 tuttavia non è proprio dietro l’angolo, ammesso che in questi anni non intervengano imprevisti politici e/o conomici a d inceppare la delicata macchina degli accordi internazionali, rimane aperto un dubbio: saremo ancora in tempo?

Claudio Santi

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Produzione di CO2: è solo colpa dei Paesi emergenti?

Uno degli impegni presi a Copenhagen era quello di contenere entro il 2100 il riscaldamento climatico al di sotto di 2 gradi rispetto all’epoca pre-industriale. Un impegno che  sembra oggi essere pura utopia se è vero che, nel 2010, sono state prodotte ed emesse complessivamente  30,6 miliardi di tonnellate di anidride carbonica (CO2), con un incremento di 1,6 miliardi di tonnellate rispetto all’anno precedente (Fonte IEA International Energy Agency). Per ripettare la Road Map di Copenhagen fino al 2020 non si sarebbero dovuti superare i 32 miliardi di tonnellate, cosa che probabilmente avverrà invece già quest’anno se continuerà la tendenza che, negli scenari dell’IPCC (Intergovernmental Panel of Climate Change), veniva prospetata come la peggiore con il rischio di raggiungere al 2100 un incremento di temperatura di addirittura 4 gradi.
Apparentemente la responsabilità è dei paesi emergenti i quali, superata la crisi economica, producono oggi tre quarti della CO2 emessa ma va considerato che questo non corrisponde ad una riduzione dell’impronta ecologica dell’occidente che ha semplicemente delocalizzato le emissioni. Colpa della delocalizzazione delle produzioni e dell’aumento delle importazioni che mette la quota di emissione a carico del paese che produce un bene e non a carico del paese che lo utilizza. Un problema non solo etico ma profondamente pratico che ci restituisce la preoccupante evidenza che, a livello globale, non è ancora iniziato il necessario quanto urgente ridimensionamento del consumo delle risorse e del territorio collegato ad una ridistribuzione equa della qualità della vita.

Claudio Santi

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Passa la nube ma non la paura!

La nube radioattiva partita dalla centrale di Fukushima è diretta verso l’Europa, e con molta probabilità passerà domani anche sopra l’Italia. Al momento è difficile prevederne la reale pericolosità e la tendenza è quella a rassicurare anche se nessuno vuole sbilanciarsi più di tanto.
Giancarlo Torri, responsabile del Servizio misure radiometriche del Dipartimento nucleare dell’Ispra, ha parlato di possibilità di contaminazione minima, senza rischi per la salute dichiarando tuttavia che le Arpa regionali sono state allertate allo scopo di monitorare in tempo reale il passaggio della nube sul nostro territorio.
Prevedere la reale entità della contaminazione è sicuramente difficile. Dipende in primo luogo dalla diluizione che la nube originale ha subito durante lo spostamento e dipende anche dal tipo di radioisotopi presenti. E’ ragionevole ipotizzare che lo iodio 131, con un tempo di decadimento piuttosto rapido, possa essere considerato non più un pericolo per la salute pubblica. Diversamente altri radioisotopi come Cesio 137 potrebbero sicuramente presentare un rischio maggiore a medio e lungo termine, legato soprattutto ai tempi di dimezzamento più lunghi ed alla possibilità di bioaccumulo e di contaminazione della catena alimentare. Questo non è il momento degli allarmismi e, per quanto mi riguarda, ripongo totale fiducia nelle autorità deputate al monitoraggio dell’ambiente ed al  mantenimento della nostra salute. Non possiamo tuttavia esimerci da una riflessione che assume un carattere assolutamente generale, una riflessione legata alla globalità delle conseguenze di un disastro nucleare. Conseguenze che non risparmiano nemmeno popolazioni a diecimila chilometri di distanza, sottoponendole ad un rischio che, ammesso venga confermato minimo, non potrà mai essere nullo. Conseguenze che, in caso di una reale contaminazione,  potrebbero risultare economicamente pesanti, basti pensare all’agricoltura,all’allevamento ed all’industria alimentare in genere. Per il momento non ci resta che augurarci che la realtà rispecchi effettivamente gli auspici ed i ragionevoli tentativi di previsione e che la situazione nella centrale giapponese possa essere quanto prima dichiarata stabile e definitivamente sotto controllo.

Claudio Santi

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Iodio-131: Cernobyl continua a produrre tumori alla tiroide

In uno studio apparso il 17 marzo 2011 sulla rivista Environmental Healt Perspectives un team internazionale di ricercatori, coordinati dal National Cancer Institute del dipartimento della salute degli Stati Uniti, riporta che l’esposizione a iodio 131 può essere la causa dei nuovi casi di tumore alla tiroide che ancora oggi vengono riscontrati tra le persone che nel 1986 furono esposte al fallout dell’incidente nucleare di Cernobyl.

È stata individuata una netta correlazione dose effetto tra la quantità di energia radiante assorbita ed insorgenza delle neoplasie, con un trend costante nel tempo, che non sembra ancora diminuire. Lo studio ha coinvolto 12500 pazienti che avevano, all’epoca dell’incidente, meno di diciotto anni e risiedevano in una delle regioni limitrofe: Chernigov, Zhytomyr, e Kiev. A tutti i pazienti è stata misurata la dose di iodio-131 assorbita nei due mesi successivi all’incidente, e sono poi seguiti controlli analitici strumentali e medici con frequenza periodica fino a quattro volte l’anno. Dall’analisi della storia di ciascun paziente è stato possibile valutare anche l’influenza di alcune abitudini come ad esempio il consumo di latte o del trattamento profilattico con iodio non radioattivo subito dopo l’incidente che si è dimostrato utile a prevenire i danni alla tiroide ed il rischio dell’insorgenza di un tumore.

Claudio Santi

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Fukushima: la Protezione Civile Italiana pensi alla sicurezza dei nostri connazionali e non alla propaganda pro-nucleare

Inqualificabile l’atteggiamento della squadra di tecnici della protezione civile italiana arrivata ieri in supporto all’ambasciata italiana a Tokyo. In un momento di crisi e di evidente rischio per quanto sta accadendo a Fukushima-1, mentre la stessa ambasciata invita gli italiani a lasciare la città, affrettarsi a dichiarare che Tokyo è una città meno radioattiva di Roma appare come la dichiarazione propagandistica di un governo preoccupato per le ripercussioni che questa tragedia potrà avere sulla sua politica nucleare piuttosto che per la salute della gente ed ai pericoli reali per l’ambiente ed il pianeta.
La stessa agenzia nucleare americana segue con apprensione l’evolversi della situazione evacuando cittadini americani per un raggio di 80 chilometri dalla centrale imponendo al governo USA un profondo ripensamento sul piano energetico nazionale.
Chiaramente trovandomi in Italia non mi permetto di criticare la bontà dei rilevamenti spettroscopici fatti dai tecnici della nostra protezione civile, ma non posso non rilevare l’assoluta inutilità delle loro dichiarazioni alla stampa sulle quali pesa forte il sospetto di una strumentalizzazione politica.
Che a Tokyo ancora non ci siano livelli di radioattività pericolosi per la popolazione non è mai stato in dubbio, se questo è quello che la nostra protezione civile è andata a fare in Giappone potevamo anche risparmiare i soldi della loro trasferta. Tuttavia non può essere nascosto che a Fukushima la situazione sia moto critica, a tratti fuori dal controllo delle squadre di soccorso costrette ad allontanarsi a causa delle elevate concentrazioni di radioattività. Si interviene oramai da lontano, elicotteri, qualcuno ha parlato di cannoni ad acqua che proprio ora si apprende non sono utilizzabili, troppo rischiosi per gli operatori. Una situazione critica ed incerta sulla quale nessuno può fare previsioni ne giocare la partita sporca del sensazionalismo o della minimizzazione.
Quanto sta accadendo in Giappone non ha bisogno di spettacolarizzazioni mediatiche per mostrare in tutta la sua drammaticità quali possono essere i rischi connessi ad una centrale nucleare. Svizzera, Germania, Stati Uniti, Regno Unito stanno rilasciando dichiarazioni caute e volte ad un ripensamento critico sul nucleare. A casa nostra questo non avviene e la preoccupazione è rivolta maggiormente ad ovattare l’ opinione pubblica per non permettere che una scelta democratica, libera ed informata possa rovinare la gallina dalle uova d’oro per le lobbies ed i signori degli appalti. Buon Compleanno Italia !

Claudio Santi

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Fukushima: previsioni e timori in larga parte confermati

Una dopo l’altra cadono le pedine di questa drammatica partita a scacchi. Dopo il reattore numero uno è stata la volta del tre ed a seguire il due e poche ore fa il quattro.
Oramai è evidente che l’ottimismo arrogante ostentato nei primi momenti dal promotore del Forum nucleare, Chicco Testa, era quantomeno fuori luogo.
Purtroppo appaiono tutte realizzate le nostre previsioni ed i nostri timori.
Che la situazione fosse più grave di quanto il tam tam frenetico delle notizie lasciava trasparire era evidente da tutta una serie di decisioni prese dalle autorità e dai tecnici della TEPCO, e dai piani di evacuazione che si andavano facendo via via più massicci col passare del tempo.
Nelle prime ore di oggi, alcuni colleghi di Tokio parlavano addirittura di una possibile evacuazione della città, un esodo che assumerebbe un significato quasi biblico difrontre ad una catastrofe che pochi eroici tecnici e pompieri stanno cercando di evitare, esponendo le loro vite ad un rischio pressoché certo quanto disperato.
Il livello di gravità dell’incidente è salito a sei, superando quello di Three Mile Island, come avevamo ipotizzato da subito, ad un passo dal livello massimo sino ad oggi raggiunto solo da Cernobyl.
Le poche pompe in funzione continuano a pompare acqua di mare e boro nel tentativo di raffreddare i noccioli roventi ed interrompere la fusione delle barre di combustibile, e nel tentativo di domare anche quel processo di fissione che qualche decennio fa affascinò tecnici e scienziati, mostrando tuttavia da subito la sua potenziale incontrollabilità.
Se tutto questo avviene in Giappone, è lecito chiederci cosa diventerebbe declinato sul territorio italiano, dominato dagli interessi degli appalti, delle mafie e delle eco-mafie. La centrale di Fukushima era una delle 25 centrali più sicure al mondo, la TEPCO una ditta seria ed affidabile nella costruzione e nella manutenzione. Una centrale che avrebbe resistito anche ad un sisma dell’ ottavo grado. Certo quasi un nono grado seguito da uno tsunami era considerato, a ragione, un evento poco probabile. La natura ci ha dimostrato che poco probabile non significa impossibile e ci troviamo ora ad affrontare una catastrofe naturale inevitabile sommata ad una catastrofe assolutamente evitabile derivante dalla perdita di controllo su tecnologie delle quali dovremmo e potremmo da subito iniziare a farne a meno. Solo il nostro governo sembra non accorgersene.

Claudio Santi

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Fukushima: rischio fusione anche per il reattore n.3

Secondo le agenzie Adskronos e Kyodo persiste lo stato di massima allerta presso la centrale nucleare di Fukushima, pesantemente danneggiata dal terremoto dei giorni scorsi. Si continua ad immettere acqua nel reattore numero uno esploso ieri mattina provocando il crollo del soffitto e della gabbia esterna di contenimento. Lo stesso avviene per i reattori due e tre nei quali persistono problemi al sistema di raffreddamento e rischi di aumento di pressione ed esplosioni. Dal sito ufficiale del gestore nazionale TEPCO si apprende che nei reattori 1 e 3 le autorità iniettando insieme ad acqua di mare anche acido borico, una sostanza che ha il compito di catturare neutroni e controllare eventuali reazioni nucleari a catena. Una evenienza quindi quella della fusione del nucleo del reattore che per questi due reattori non può essere ancora del tutto esclusa.

È chiaro, stiamo vivendo una situazione di incertezza in cui le informazioni ufficiali tendono a ridurre gli allarmismi, minimizzando probabilmente in maniera eccessiva la potenziale gravità della situazione.

Sale infatti il numero delle vittime contaminate, e Kyodo News riporta che almeno 10 casi di contaminazione sono stati accertati fuori dal perimetro dei 20 chilometri considerati a rischio.

Una situazione in rapida evoluzione, con informazioni anche contraddittorie che si susseguono e difficili spesso da verificare. Ci auspichiamo che lo sforzo ed i sacrifici dei tecnici unitamente alla tecnologia a loro disposizione possa scongiurare il peggio, ma tutto questo impone inevitabilmente una riflessione critica sui nostri modelli di sviluppo e sull’opportunità di rivedere anche in Italia i programmi di approvvigionamento energetico.

Certo siamo difronte ad un evento sismico di inaudita violenza ma non dimentichiamoci che stiamo cercando di scongiurare che la catastrofe venga da una delle centrali nucleari sino ad oggi ritenuta tra le più sicure al mondo.

Claudio Santi

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Fukushima peggio di Three Mile Island ?

Per cercare di capire cosa sia realmente successo e cosa stia succedendo ora nella centrale nucleare di Fukushima è necessario andare per ordine. I primi allarmi della tarda serata di ieri anche se goffamente banalizzati dalle semplicistiche affermazioni di Chicco Testa su “la 7” oggi sembrano avere un logico quanto preoccupante seguito.

E’ oramai ufficiale che il terremoto di ieri ha provocato danni a due dei reattori della centrale danni che, sommati a quelli subiti dalle infrastrutture ordinarie (energia elettrica e fornitura idrica) hanno determinato lo stato di allerta prima ed emergenza immediatamente dopo. Il problema in questi casi è che il surriscaldamento non controllato del nocciolo determini una fusione del reattore con conseguenze molto simili a quelle che l’umanità ha già sperimentato con Cernobyl. E’ chiaro che se manca l’energia elettrica che fa muovere le pompe e se l’acqua di raffreddamento viene meno perché (come in questo caso) le dighe cedono ed i bacini si svuotano la temperatura del reattore ed un eventuale inizio di fusione del nocciolo non possono più essere controllati. Le notizie sono ancora contrastanti ma la stessa TEPCO (Compagnia Elettrica di Tokyo) nel suo sito riporta che i responsabili della centrale hanno chiesto il permesso di espellere dalla centrale i vapori in sovrapressione con relativa immissione di radioattività nell’ambiente circostante che secondo alcune fonti avrebbe raggiunto livelli mille volti superiori al livello di soglia. Insieme ad isotopi poco preoccupanti preoccupanti come lo Iodio che si dimezza in soli otto giorni e’ stata riscontrata la presenza di Cesio 137, un elemento che dimezza spontaneamente la sua concentrazione quindi la sua radioattività in 30 anni, ma che soprattutto potrebbe stare a significare un problema serio al nocciolo del reattore. Problema che la compagnia elettrica non ha nascosto ammettendo una parziale fusione del reattore n°1 che tuttavia dichiara di avere ora sotto completo controllo, sarebbe interessante sapere anche come ndr. Il rischio che si sta ancora correndo a Fukushima è considerevole se si considera che sono state fatte evacuare 45 mila persone per un raggio di 10 chilometri. Una situazione probabilmente peggiore a quella del più grande disastro nucleare avvenuto negli USA (1979 a Three Mile Island) quando il surriscaldamento del reattore provocò la parziale fusione del nucleo rilasciando nell’atmosfera gas radioattivi pari a 15000 terabequerel (TBq). In quella occasione vennero però evacuate 3.500 persone in un raggio di soli 2 chilometri.

Le notizie che giungono in diretta mentre sto scrivendo non sono rassicuranti, l’ esplosione nell’edificio che ospita il reattore avrebbe provocato il crollo del soffitto e la distruzione della gabbia esterna di contenimento del reattore stesso. La popolazione non evacuata, quella cioè che vive a più di dieci chilometri di distanza dal reattore, è stata invitata dalla tv a mettere in atto tutte le misure di emergenza contro la contaminazione radioattiva, tapparsi in casa, coprire naso e bocca con stracci bagnati, non consumare frutta e verdura. Alla faccia della situazione sotto controllo!

Claudio Santi


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